NESSUNO AMA CIÒ CHE NON CONOSCE

Chi è S. Rocco? Dove e come è morto? Quando è vissuto? Perché tutte le statue lo raffigurano con un cane? Perché ha una piaga sulla coscia? Di quale paese è patrono e protettore? In vita ha visitato la località di Casertavecchia?
Dopo un anno e mezzo di servizio pastorale nella chiesa di S. Rocco di Casertavecchia sono le domande che frequentemente il popolo di Dio mi ha posto e che evidenziano quanto il nome di S. Rocco sia giunto in ogni angolo del mondo ma come sia scarsamente conosciuta la sua esistenza terrena, vissuta secondo il Vangelo, che lo ha portato ben presto agli onori degli altari, divenendo nei secoli successivi alla sua canonizzazione uno dei santi più venerati della cristianità.
“Nessuno ama ciò che non conosce”, afferma un antico proverbio, se non conosciamo le opere di bene, le sofferenze e l’amore che San Rocco ha profuso in nome di Dio per il prossimo, non potremo mai diventare suoi veri amici ed imitatori.
San Rocco non era italiano, era francese, nacque a Montpellier tra il 1345 e il 1349, da una nobile famiglia. I genitori Libera e Giovanni De la Croix, invocarono per tutta la vita la grazia di avere un figlio. Solo in età avanzata vennero esauditi nel loro desiderio. Riconoscenti consacrarono il piccolo Rocco a Dio, che sin dalla nascita aveva impressa una voglia a forma di croce sul petto.
I genitori non ebbero però il tempo di assaporare i frutti del loro impegno cristiano perché la morte li sorprese entrambi lasciando orfano il giovane Rocco non ancora ventenne.
Il padre prima di morire gli strappò la promessa che si sarebbe impegnato a favore dei bisognosi e dei malati, perché solo vivendo il Vangelo avrebbe superato il vuoto interiore provocato dalla solitudine e dalla delusione di un giovane neanche ventenne che si trovava ad affrontare la vita senza la guida e l’affetto dei genitori.
Solo meditando Cristo crocifisso, gli sussurrò il padre prima di chiudere gli occhi, possiamo comprendere che le nostre sofferenze al confronto sono imparagonabili. Venduto tutto ciò che aveva, Rocco si propose di vivere pienamente il Vangelo: vendette tutti i beni ereditati lasciandosi una dimora e il ricavato lo donò ai poveri di Montpellier.
Triste, con il cuore in gola, decise di seguire Cristo, e si incamminò verso Roma per pregare sulla tomba dei santi Pietro e Paolo con la speranza di trovare la consolazione e il coraggio di accettare la dura volontà di Dio che gli aveva tolto entrambi i genitori nel giro di pochi anni. Per affrontare un viaggio a piedi nel XIV secolo, era necessario equipaggiarsi e munirsi del necessario per vincere gli ostacoli che si incontravano nelle strade impervie e piene di pericoli del tempo.
Tutti gli affreschi, le statue, i quadri e le immagini lo ritraggono pellegrino. Ciò che indossava non era ornamento, ma mezzi utili per compiere un pellegrinaggio di oltre mille chilometri che separavano la sua Montpellier da Roma.
La mantellina sicuramente serviva per ripararsi le spalle, la conchiglia per bere, la borraccia per conservare un sorso d’acqua e ristorarsi nei lunghi tragitti dove era difficile trovare una fontana. Inoltre il mantello era necessario per difendersi da freddo e ripararsi dalla pioggia, il cappello dal sole rovente e il bastone non solo per appoggiarsi nei momenti di stanchezza, ma anche per difendersi dai briganti e dalle bestie feroci che erano sempre in agguato.
Giunto alle porte di Roma, ad Acquapendente rimase coinvolto in una epidemia di peste, un morbo molto diffuso a quei tempi che mieteva vittime spaventosamente.
“Dio mette lungo il cammino dei suoi figli la sofferenza per correggerli” dice la Scrittura.
Il giovane Rocco lo possiamo paragonare ai tanti giovani di oggi provati dalla vita. Era angosciato, avvertiva un vuoto interiore incolmabile lasciato dalla morte del padre e della madre, non aveva fratelli, il suo futuro era incerto. Cosa sarebbe stata la sua vita, se non avesse incontrato i malati di peste? Un predicatore, anni fa, in un panegirico su S. Rocco disse: “Sarebbe potuto diventare un vagabondo, cioè uno dei tanti alcolizzati del suo tempo che anestetizzavano nel bere i problemi della vita. Ma Dio interviene sempre nei modi che a noi uomini sembrano incomprensibili”.
Dinanzi a quanti fuggivano dalle città appestate e lasciavano morire i loro cari per timore del possibile contagio, nella disperazione e nella solitudine, Rocco non evase dalla tragica circostanza, vi si immerse totalmente mente e cuore, rinunciando a sé stesso per votarsi agli altri.
Ciò che stupisce del giovane Rocco fu il suo amore per i malati, egli non era partito per curare gli infermi, ma li accettò di buon cuore.

Dopo Acquapendente giunse nella città eterna dove pianse e pregò sulla tomba dei Santi Pietro e Paolo. Dopo essere stato a Roma riprese il suo cammino per tornare a Montpellier dove non tornò mai.
La peste lasciava una città dopo averla decimata e si diffondeva in altre seminando morte e terrore. Rocco instancabile camminatore, si spostava ovunque gli giungeva notizia del contagio, piegandosi sulle miserie umane. Non si risparmiò di amare, soffrire e pregare con i fratelli piagati dal terribile morbo, diventando lui stesso un appestato quando nei pressi di Piacenza, dopo essere stato a contatto con i malati, anche lui restò contagiato dalla malattia e scoprì di avere un bubbone all’inguine, tanto doloroso da non farlo riposare né notte né giorno.
Per non essere di peso a nessuno si rifugiò in una grotta nei pressi di Sarmato, sul fiume Trebbia, dove sarebbe morto se non fosse intervenuto un cane mandato dalla Provvidenza, il quale ogni giorno gli portava un pezzo di pane. Il padrone del cane, Gottardo Pallastrelli, incuriosito dall’atteggiamento dell’animale, lo seguì e scoprì questo giovane ventisettenne, lo curò e con l’aiuto di Dio Rocco guarì.
Oltrepassato il Po, giunto nei pressi di Voghera, il giovane Rocco, con la barba incolta, i capelli lunghi, maleodorante, i segni delle fatiche impresse sul viso, venne scambiato per una spia.
Avrebbe potuto rivelare le sue nobili origini francesi, ma per un voto fatto al Signore di non usufruire dei privilegi familiari, dichiarò solo di essere un servitore del Vangelo e venne buttato in prigione dove trascorse gli ultimi cinque anni della sua vita.
Vivere nelle prigioni del tempo era veramente duro, esse spesso si trovavano sottoterra, nell’umidità, il cibo era precario, i maltrattamenti erano continui al punto che indebolirono il corpo del giovane. Dove trovo’ la forza il giovane? La risposta sta nella sua fede in Cristo Morto e Risorto. San Francesco solo dopo delle stigmate capi’ che il “vivere la perfetta letizia”. La vera letizia e’, dopo aver dispensato amore, donazione e offerto la propria vita agli altri, sentirsi giudicato, rifiutato e disprezzato e scoprire che quegli insulti non ti toccano, non ti turbano, perché’ se tutto viene da Dio, compreso l’amore offerto i sulla Croce, la sofferenza terrena E’ terrena E’ realtà’ che l’uomo può’ donare a Dio.
Invocò più volte nella sua prigionia la Vergine Maria, poco prima di morire chiese un sacerdote al quale confessò quanto aveva operato in vita, il confessore corse dalle guardie rivelando che in prigione vi era un uomo di Dio, ma quando la sua prigione fu aperta il giovane Santo era già spirato, accompagnato dalla beata visione di Maria Santissima la notte tra il 15 e il 16 Agosto, e dal carcere di Voghera la sua anima salì al cielo all’età di 32 anni offerti a Dio e al prossimo.
TANTE SONO LE LEGGENDE SORTE SULLA FIGURA DI QUESTO SANTO PELLEGRINO.
Rocco non è mai sceso in Italia oltre Roma, non è mai venuto nel Sud dell’Italia. Allora come si spiega il culto verso questo santo, tanto radicato nell’Italia meridionale? La risposta sta nella fede e nella devozione che i nostri padri nutrivano verso San Rocco, il santo dei malati. Essi temendo le terribili epidemie cominciarono nel corso dei secoli ad invocare il nome di questo taumaturgo, al punto da costruire, fuori le mura degli abitati, chiese in onore al santo di Montpellier, il quale stando al di fuori dei centri abitati poteva vegliare e proteggere in qualsiasi momento gli abitanti dall’arrivo dei nemici, delle calamità naturali e malattie contagiose.
COME SONO GIUNTE LE RELIQUIE DEL GLORIOSO TAUMATURGO A CASERTAVECCHIA?
I resti del corpo di San Rocco restarono a Voghera fino al giorno in cui Mons. Manlio Achilli affidò le reliquie del Santo che erano custodite nella sua parrocchia a Fratel Costantino De Bellis, fondatore della famiglia degli “Amici di San Rocco” nata allo scopo di tutelare l’universalità del culto di questo grande Santo.
L’Associazione “Amici di San Rocco” successivamente ebbe la grazia di essere guidata da Mons. Filippo Tucci, rettore della chiesa dedicata al Santo taumaturgo a Roma, dove era custodita dal 1598 per volontà di papa Clemente VIII l’insigne reliquia del braccio destro di San Rocco, voluta a Roma dallo stesso pontefice per invocare la grazia di liberare l’Urbe dal propagarsi di una nuova e minacciosa epidemia di peste.
Dal 2009 al compianto Mons. Pietro Farina, vescovo di Caserta, visto l’interesse che nutriva verso l’Associazione fu proposto con umiltà di discernere l’operato di questa nuova realtà degli “Amici di San Rocco”, il quale subito accettò di valutarne il cammino e dopo tre anni, il 26 Maggio 2013 firmò il decreto di riconoscimento, rendendo Chiesa la grande famiglia degli “Amici di San Rocco”.
Volle inoltre che l’urna reliquiario contenente le sacre ossa di San Rocco, venisse traslata nella sua diocesi, nella chiesa di Casertavecchia, esposta alla venerazione delle tante persone che, venendo in un posto turistico per ristorarsi, possono qui trovare un luogo di preghiera e di silenzio dove cogliere la voce di Dio che parla nel cuore di quanti vivono nel religioso ascolto della sua Parola.
Molti si chiedono perché pregare davanti a delle ossa, altri affermano che i santi offuscano Cristo, altri ancora che le reliquie sono mera tradizione del passato. Ma Dio, colui che ha creato il mondo, è una luce inaccessibile che solo attraverso le realtà visibili è possibile conoscere.

Per arrivare a Dio bisogna partire dai segni, di cui tutta la liturgia cattolica è ricca.
L’Associazione Europea “Amici di San Rocco” custodisce le reliquie del corpo di un santo che è vissuto vivendo il Vangelo. Molte volte la Chiesa cattolica è stata criticata nei secoli per il culto delle reliquie dei santi, senza tener conto che per arrivare a Dio si deve passare da tutto ciò che è concreto. I sacramenti sono infatti il segno dell’umanità di Gesù Morto e Risorto, che continua a vivere nella Chiesa e noi uomini siamo anima e corpo, non siamo solo esseri pensanti, abbiamo bisogno anche delle cose concrete per aiutare la nostra fede.
I corpi dei santi, le loro reliquie, sono perciò il segno che la Grazia di Dio non è passata invano su questa terra, ma ha trasformato delle persone, ha creato cuori nuovi capaci di donarsi per amore in nome di Cristo.
In occasione della festa di San Rocco che ormai si avvicina, auguro di riscoprire la bellezza della nostra fede, con lo sguardo fisso alle gesta compiute dai santi, affinché dalla nostra testimonianza il mondo che ci circonda possa ritornare alle sorgenti della Parola, della Grazia e della Carità di Dio.