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Osiamo dire Padre (cap I) testo completo

Numerosi erano i popoli antichi che usavano chiamare Dio con il nome di “Padre”.
Qualche esempio: Zeus era denominato “padre degli dei e degli uomini”.
Nel secondo millennio a.c. troviamo un’invocazione sumerica al Dio Sin: “O Padre, misericordioso e clemente, che hai nelle tue mani la vita del mondo intero, o Padre generatore degli dei e degli uomini...”.


NELL’ANTICO TESTAMENTO

Ma occorre fare attenzione; non tutti coloro che chiamano Dio col nome di Padre si rivolgono allo stesso Dio; anche Assur il dio sanguinario di Ninive era chiamato Padre.
Quindi non basta fermarsi al titolo, ma occorre guardare la realtà che esso indica.

Si rimane meravigliati constatando che nell’Antico Testamento, l’appellativo Padre riferito a Dio sia usato pochissime volte (15 in tutto).
Israele infatti ha imparato a chiamre JHWH “Padre” molto tardi. Quale il motivo?
Occorre pensare che nelle mitologie pagane la paternità di Dio era intesa in senso fisico-materiale. E questa era una visione incompatibile con l’altissima concezione spirituale che Israele aveva di Dio.
L’uso del termine “padre” poteva suggerire ad Israele concezioni pagane ripudiate sin dall’inizio (Gs 24,23).
Infatti quando Israele inizierà a chiamare Dio “Padre”, per la ricchissima simbologia che l’attributo contiene, non lo farà come nei popoli pagani con le loro mitologie che lo designano come progenitore “padre del mondo”.
La scrittura userà la simbolica del padre in un primo tempo per sottolineare il dovere dell’obbedienza del figlio-Israele al proprio padre (“Voi siete figli di JHWH, vostro Dio” Dt 14,1), oppure per fondare una prospettiva universalistica delle fede ebraica (“Non abbiamo noi tutti un unico padre? Non ci ha creati un solo Dio? Ml 2,10).

E’ interessante notare che la grande e tardiva religione monoteistica mussulmana tra i novantanove nomi dati a Dio non contiene quello di “padre”. Troppo forte è per loro la concezione di una trascendenza assoluta di Dio per potergli applicare una simbolica che troppo fa riferimento all’esperienza umana.


AL TEMPO DI GESU’

I rabbini al tempo di Gesù insegnavano:
“Come il nostro padre è misericordioso nei cieli, così anche voi dovete essere misericordiosi sulla terra”.
Nelle Diciotto Benedizioni, preghiera che certamente Gesù recitava quotidianamente leggiamo:
“O Padre nostro, facci tornare alla tua legge” (V ben.)
“O Padre nostro perdonaci perché abbiamo peccato” (VI ben.)
Nella preghiera dello Shemà troviamo:
“O Padre nostro, tu hai pietà di noi...
Padre nostro, padre di misericordia, il misericordioso, abbi pietà di noi”
Così nel Qaddish:
“Che le preghiere e le suppliche di Israele siano accolte dal loro Padre che è nei cieli. Amen!”
Gli esseni pregavano:
“Mio padre non mi conosce e, in confronto a te, mia madre mi ha abbandonato. Eppure tu sei padre di tutti i tuoi fedeli e ti compiaci di essi come una madre amorosa nel suo piccolo, e come un padre premuroso tu stringi al petto tutte le tue creature”.

Raccontavano i rabbini commentando Es 14,19 (“L’angelo del Signore che andava innanzi al campo di Israele si mosse e andò dietro a loro”) “Un uomo camminava per la via insieme al suo bambino. Il bambino lo precedeva, ma ad un certo punto giunsero i briganti a rapire il fanciullo. Il padre allora lo tolse davantia sé e se lo pose dietro. Ma un lupo apparve in quella direzione ed egli tolse il fanciullo di dietro e di nuovo se lo pose dinanzi. E vennero poi i briganti dinanzi e lupi di dietro, sì che egli dovette sollevare il bambino e portarselo in braccio. Il bambino cominciò a soffrire per l’ardore del sole. Il padre lo coprì con la sua veste. Il bambino ebbe fame: il padre lo nutrì; ebbe sete e il padre gli diede da bere.
Così fece Dio con Israele quando fu liberato dall’Egitto” (Mech 30a)
Ancora una parabola: “Il figlio di un re aveva preso una cattiva strada. Il re gli inviò il suo precettore con questo messaggio: “Ritorna figlio mio!”. Ma il figlio gli fece rispondere: “Con che faccia posso tornare? Mi vergogno a comparirti dinanzi”.
Il padre allora gli mandò a dire: “Può un figlio vergognarsi di tornare da suo padre? E se tu torni, non torni da tuo padre?” (Dt R. 2,24).

Ma chiamare Dio “Padre” non significa ancora chiamarlo “Abbà”: parola con cui i bambini si rivolgevano al loro papà. Dicevano i rabbini: “Quando un bambino inizia ad assaporare il frumento, impara a dire Abbà e Immà”. Un termine troppo affettuoso e confidenziale per essere applicato alla maestà infinita di Dio.
San Pietro Crisologo nei suoi Sermoni scrive: “La consapevolezza che abbiamo della nostra condizione di schiavi ci farebbe sprofondare sotto terra, il nostro essere di terra si scioglierebbe in polvere se l’autorità dello stesso nostro Padre e lo Spirito del Figlio suo non ci spingessero a proferire questo grido: “Abbà, Padre!”. Quando la debolezza di un mortale oserebbe chiamare Dio suo Padre se non soltanto allorché l’intimo dell’uomo è animato dalla potenza dall’alto?” (Ser. 71).

Eppure Gesù lo usa abitualmente: tutte le sue preghiere iniziano con questa invocazione. Il che sta ad indicare un tipo di rapporto con Dio fatto di assoluta confidenza e fiducia, un rapporto profondamente filiale.

In Gesù possiamo ardire (Nella liturgia questo è espresso con le formule introduttive: “osiamo dire”, “Rendici degni di”...) rivolgerci a Dio chiamandolo a nostra volta Abbà. Paolo dirà: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!” (Rm 8,15
E’ questa la parresia del cristiano: la semplicità schietta, la fiducia filiale, la gioiosa sicurezza, l’umile audacia, la certezza di essere amati (cfr CCC 2777).


TRE OSSERVAZIONI

1. Se per gli israeliti Dio è anzitutto l’Altissimo, il Giudice e il Legislatore, in Gesù ritroviamo l’immagine di un Padre Buono che ha cura dei suoi figli.
A lui ci si rivolge con la semplicità del bambino (Mt 5,15)
Egli ha cura di ogni sua creatura (Mt 6,25-31)
Conta i capelli del nostro capo, e conosce ogni nostra necessità (Lc 12,6).
Di lui non si deve e non si può avere paura. ).

2. Il rapporto che Gesù ha con il proprio Padre appare peculiare a lui solo. Gesù non prega mai con i discepoli dicendo “Padre nostro”. Vi è sempre in lui una chiara distinzione (“Padre mio e Padre vostro” Gv 20,27).
E’ possibile essere figli di Dio solo in lui, accogliendo il dono del suo Spirito: “Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11,27).

3. Il Padre nostro può essere recitato da tutti? La paternità di cui parla Gesù è riservata a coloro che hanno ricevuto il suo Spirito. E’ una figliolanza che deriva dal dono gratuito della vita stessa di Dio.
Per cui a buon diritto esso può essere pregato in verità e consapevolezza solo da coloro che nella fede hanno accolto Gesù, la sua Parola e il dono del suo Spirito.


IL PATER OGGI

Psicologi e sociologi affermano che la nostra società ha rifiutato la presenza e il ruolo del padre.
Questa figura è stata sentita come presenza bloccante e frenante della spontaneità della vita. Si è presentato come un avversario-padrone da combattere in quanto rappresenta tutti i condizionamenti e le alinazione.
Si è rivendicato, in una società improntatata su un’ideologia radicale, il diritto di ognuno di costruire se stesso senza nessun “padre”. Ciascuno è autonomo, indipendente, creatore di se stesso.
L’uomo si è ritrovato solo, sperduto. Incapace di darsi risposte. Ma questo invece di spingerlo al ritorno alla casa del padre lo ha spesso spinto in un parrossistico tentativo di spegnere la sua angoscia in direzione del raggiugimento di piccoli orizzonti individuali, piccole altre case che però non riscaldano mai a sufficineza il cuore.
Il padre diventa una realtà insignificante, un ornamento di cui si può fare benissimo a meno.

La religione del Padre è stata rifiutata o quel che è peggio lascia ora completamente indifferenti.
Lo scrittore E. Hemingway scriveva in uno dei suoi 49 Racconti una parodia del Padre Nostro: O nulla nostro che sei nulla, / sia nulla il tuo nome / nulla il regno tuo / e sia nulla la tua volontò / così in nulla come in nulla/. Dacci oggi il nostro nulla quotidiano / Ave, nulla, pieno di nulla, / il nulla sia con te.
Sono parole estremamente drammatiche, ma quanto mai rappresentative di un ‘epoca.
Lo spauracchio di Dio, o il “buon Dio”al massimo è utile per le donne e i bambini. Il giovane, l’adulto non ha bisogno di un Padre, può rischiare in proprio la vita.
Tuttalpiù è meglio far riferimento a uno spirito universale, ad un cosmo divinizzato, ecc... in cui non mi sento minacciato nella mia libertà (cf New Age)

Qui si impone un’importante riflessione. Che Padre è quello rivelatoci da Gesù? Possiede le caratteristiche frustranti che vengono rifiutate e perseguitate dalla nostra cultura? Non è che forse si è rifiutata un’immagine caricaturale che di Dio era stata data e che forse la stessa Chiesa in tanti modi coscienti o incoscienti ha avvallato allontanandosi dalla rivelazione biblica?
Quanto le esperienze negative che tanti hanno fatto nell’ambito delle relazioni familiari hanno e stanno influenzando nel loro rapporto con Dio Padre per cui egli diviene il giudice, il castigatore, colui che pretende sempre, il controllore....?
A questo proposito lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica fa un commento illuminante: Prima di fare nostro questo slancio iniziale della Preghiera del Signore, non è superfluo purificare umilmente il nostro cuore da certe false immagini di “questo mondo”. L’umiltà ci fa conoscere che “nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” cioè “ai piccoli” (Mt 11,25-27).
La purificazione del cuore concerne le immagini paterne e materne, quali si sono configurate nella nostra storia personale e culturale, e che influiscono sulla nostra relazione con Dio. Dio nostro Padre, trascende le categorie del mondo creato. Trasporre su di lui, o contro di lui, le nostre idee in questo campo equivarrebbe a fabbricare idoli da adorare o da abbattere. Pregare il Padre è entrare nel suo mistero, quale egli è, e quale il Figlio ce lo ha rivelato” (2779)
Gesù ci rivela al contrario un Padre che è garante e fonte di liberazione; pensiamo solo alla rilettura che Gesù fa della Legge! E’ un Padre che ci proietta ad un futuro da costruire con lui nella solidarietà con i nostri fratelli; pensiamo alla parabola del Padre misericordioso.
Non è certo l’Abbà di Gesù un padre-padrone geloso dell’autonomia dei figli.
Questa visione negativa di Dio si incuneò nell’esperienza umana al momento della tentazione di Adamo ed Eva quando il serpento insinuò il sospetto di un Dio geloso delle sue prerogative divine.
Giovanni Paolo II scrive nella sua enciclica Dominus et Vivificantem 38: Lo spirito delle tenebre (Ef 6,12) è capace di mostrare Dio come nemico della propria creatura e prima di tutto come nemico dell’uomo, come fonte di pericolo e di minaccia per l’uomo. In questo modo viene innestato da Satana nella psicologia dell’uomo il germe dell’opposizione nei riguardi di colui che “sin dall’inizio” dev’essere considerato come nemico dell’uomo e non come Padre. L’uomo viene sfidato a diventare l’avversario di Dio.

Terminiamo con un episodio tratto dalla vita di Teresa di Lisieux, una piccola del Regno, che hasperimentato nella sua vita un abbandono totale e fiducioso nelle mani del Padre.
Un giorno, racconta Celina sorella di Teresa, entrando nella cella della nostra cara sorella rimasi sorpresa dalla sua espressione di grande raccoglimento. Cuciva con slancio e tuttavia sembrava perduta in una profonda contemplazione. “A che pensi?” le chiesi. “Medito il Pater noster” mi rispose “ è così dolce chiamare Dio Padre Nostro!”. E le spuntarono le lacrime agli occhi. Teresa amò Dio come un bambino vuole bene al babbo con incredibili manifestazioni di tenerezza. Durante la sua malattia accadde che, parlando di lui, prese una parola per un’altra e lo chiamò papà. Noi ridemmo ma lei riprese tutta commossa: “Oh sì, è proprio mio papà, e quanto mi è dolce dargli questo nome (Consigli e ricordi)

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