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Catechesi: "La sofferenza purifica e redime"

LA SOFFERENZA PURIFICA E REDIME

Cari amici e devoti di San Rocco
La Chiesa in questo periodo che precede il tempo di Quaresima ci fa riflettere sul senso cristiano della sofferenza e della malattia.
Inizio questo momento di riflessione partendo da una espressione del filosofo ateo Nietzsche che quasi profetizzando il nostro tempo ha ben sintetizzato l’atteggiamento della nostra società secolarizzata di fronte alla malattia: < I deboli e i malriusciti devono perire: questo è il principio del nostro amore per gli uomini. E a tale scopo si deve anche essere loro di aiuto >. Queste parole terribili per un cristiano in questi nostri giorni ci sono sembrate da molti condivise. Il malato è diventato un peso, un guaio, un disturbo. Il cristianesimo invece insegna l’accettazione e la valorizzazione dello stato di debolezza e di infermità. L’ideale generalizzato della nostra società, il personaggio mitico, non è il santo o l’eroe, non è cioè uno che sa donarsi e agire per gli altri: è piuttosto chi è capace di vivere al meglio per sé. E’ l’uomo giovane, bello, sano e soprattutto efficiente, è l’uomo che produce e che consuma, è l’uomo di successo. In una simile mentalità l’accettazione e la valorizzazione dello stato di debolezza ed infermità svaniscono. Il malato viene visto come un peso, un guaio, come qualcuno che scompiglia i nostri progetti e ci guasta la bella festa della vita. Secondo l’antropologia oggi prevalente la malattia non dovrebbe esistere. Però c’è, e allora non potendo eliminarla come fatto, si cerca di eliminarla come pensiero. La sua cura va il più possibile delegata, il disagio che provoca deve interferire al minimo nella giornata dei sani; il suo triste spettacolo deve essere censurato. Il caso estremo di tale atteggiamento di rifiuto della realtà si ha quando ci si imbatte nella morte. La morte non è più vista come un evento normale della vita, ma al contrario è ritenuta un oltraggio alla nostra esistenza. E’ sintomatica la precauzione con la quale la malattia e la morte sono nascoste ai bambini. Curiosamente si ritiene saggio prepararli all’impatto con la realtà, nascondendo la realtà ai loro occhi. Ma il rifiuto della realtà comporta il rifiuto dell’uomo e si pongono le premesse per una crescente disumanizzazione della vita e quindi della sofferenza, dell’infermità, della morte. Va chiarito che il cristianesimo non esalta il dolore, né l’infermità, né la morte quali fossero beni in assoluto. Al contrario ritiene che, per essere accettati e trasformati in valori, il dolore, l’infermità e la morte devono essere oltrepassati in modo che appaia la loro natura di “via” e non di traguardo. Non è il Venerdì Santo la pagina conclusiva della storia della salvezza, ma la Pasqua di Risurrezione, nella quale tutta la ricchezza del Venerdì Santo è presente e viva, ma al tempo stesso è superata e tramutata nella nuova condizione di gioia e di gloria. Anche il cristiano dunque ritiene doveroso e lodevole l’impegno ad alleviare il dolore, a guarire i mali. L’esempio di Gesù che ha dedicato buona parte della missione pubblica alla guarigione dei malati, ci incita ad operare a questo scopo e a riflettere sul senso e sul valore della malattia. Il cristiano è un realista che guarda in faccia alle cose come stanno e vede che il dolore non può essere schivato. Il cristiano è un realista che crede in Dio e, credendo in Dio è certo che tutta la realtà in tutti i suoi stati e momenti, abbia una finalizzazione e un pregio. Quindi tutte le ore date all’uomo, dalle più liete alle più angosciose, hanno un significato ed un valore. A noi tocca ricercarlo e scoprirlo alla luce della fede. L’uomo creato da Dio a sua immagine vale per il fatto che è uomo, e non per quello che è in grado di fare, di produrre; e dunque vale fino al suo ultimo respiro. Il cristiano non esorcizza il dolore ma parte dalla presenza del dolore nell’umanità, per arrivare ad accogliere l’iniziativa salvifica di Cristo e la Rivelazione del Padre come l’unica risposta all’enigma dell’uomo che soffre. Quello che è avvenuto sul Golgota, dove il solo uomo innocente “è stato schiacciato per le nostre iniquità” (Is. 53,5) ci fa capire che la sofferenza ha primariamente una dimensione redentiva. Chi soffre, se accetta di rivivere in sé il mistero della Croce di Cristo, soffre sempre anche per la salvezza del mondo. Perciò il nostro Salvatore parla del dolore umano in termini di “Croce”, evocando così la sua stessa passione, per far capire che anche noi entriamo con la nostra sofferenza in questo misterioso progetto redentivo: “Se qualcuno vuol venire dietro a me…….prenda la sua Croce ogni giorno e mi segua”. (Lc. 9,23).
Se oggi tornasse San Rocco in mezzo a noi ci riconoscerebbe come seguaci di Cristo? Considererebbe come tanti pseudocristiani dei nostri giorni il dolore una sciagura ed il malato un peso? Certamente no, amici cari! Sicuramente San Rocco si chinerebbe ancora una volta sulla sofferenza degli uomini; ci insegnerebbe ad accettare il malato e a leggere la sofferenza non come sciagura ma in chiave redentiva. Lui che nel suo pellegrinare verso Roma non è passato oltre quando si è scontrato con la realtà della peste; lui che non ha delegato ad altri la cura degli appestati, tanto più che era anche uno straniero in Italia; lui che ha anteposto alla visita alla tomba dei martiri della fede il sollievo della sofferenza, ritardando il suo arrivo a Roma, perché da buon cristiano qual era ha vissuto e compreso a pieno le parole di Gesù: “Tutto quello che farete al più piccolo dei miei fratelli lo avete fatto a me”; ci insegna che l’uomo deve sentirsi chiamato in prima persona a testimoniare l’amore nella sofferenza. Sicuramente le istituzioni sono molto importanti ed indispensabili nell’aiutarci in questo cammino di testimonianza, tuttavia nessuna istituzione può da sola sostituire il cuore umano, la compassione umana, l’amore umano, l’iniziativa umana, quando si tratti di farsi incontro alla sofferenza dell’altro.
Ricordiamo Gesù Cristo che nella sua vita terrena ha subito umiliazioni e tormenti fisici fino alla morte di Croce, per purificare l’umanità e redimerla. Come seguaci di Cristo, se la sofferenza ci viene incontro, dobbiamo accettarla e valorizzarla ed avere solidarietà con chi soffre, diffondendo fiducia e speranza.

Sia lodato Gesù Cristo
 
 
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